L’Storia Trentina Accoglienza Stranieri – ATAS onlus

Storie di vita

La storia di Hope: una raccolta di testimonianze di tante donne che hanno vissuto nella Casa di Accoglienza Femminile

Per i 20 anni di attività della Casa di Accoglienza Femminile gestita da ATAS onlus, le operatrici e le volontarie hanno raccolto interviste e ritagliato pezzi del diario tenuto negli anni sulla vita in questa struttura.
Ne è uscita la storia di Hope, una storia che racchiude tante storie di vita di tante donne che sono state ospiti in questa Casa.
Una storia raccontata l'8 marzo 2012 davanti a queste stesse donne e agli ospiti per i quali è stata aperta la struttura per l'occasione.

Mi chiamo Hope, il mio nome porta in sé un grande significato: Speranza.

Sono una donna straniera che vive in Italia. Ho lasciato il mio paese e ho iniziato una nuova vita qui. Mi considero una cittadina del mondo. Porto con me la cultura, gli usi, i costumi e le tradizioni del luogo dove sono nata e insieme il desiderio di avvicinarmi e conoscere le consuetudini del paese in cui vivo ora.

In Italia ho incontrato molte donne migranti come me, e ho capito come svariate siano le somiglianze che ci accomunano nei nostri viaggi lontano da casa alla ricerca di nuove opportunità. Abbiamo lasciato nella nostra terra d'origine gli affetti più cari: figli, mariti, sorelle, fratelli, genitori e amici. Spesso anche un lavoro: insegnante, segretaria, commessa, guida turistica, bidella, sarta e tanti altri.

Lasciare i miei figli è stata la sofferenza più grande. E' stato come se una parte del mio cuore venisse improvvisamente strappata alla vita lasciandomi una sensazione di smarrimento e di assenza. Il pensiero di poter garantire ai miei figli un futuro migliore del mio mi ha dato però la forza di convivere con questo dolore. I motivi che mi hanno spinta a partire sono stati soprattutto economici. Il mio paese continua a vivere nelle difficoltà. La situazione economica è tale per cui ciò che guadagnavo non era abbastanza per sostenere la mia famiglia e il lavoro mi permetteva a malapena di sopravvivere. Erano molti i progetti e i sogni che condividevo con la mia famiglia e in particolare con mio marito, come l'acquisto di un terreno per crearvi un allevamento o la gestione di un piccolo agriturismo. La speranza di un lavoro con un salario migliore mi ha dato la forza di partire e di iniziare una nuova fase della mia vita.

Le donne incontrate durante il mio percorso, che come me vivono lontano da casa, mi hanno raccontato i propri sogni: far proseguire gli studi ai figli, poter dare loro un futuro migliore, assicurare una vita dignitosa e i beni primari, come vestiti, libri, una casa adeguata. Alcune di loro hanno dimostrato ancora più coraggio realizzando un sogno di libertà che chiedeva loro di allontanarsi da relazioni violente o da situazioni di oppressione.

La presenza di amici e familiari ben inseriti sul territorio hanno aiutato la mia partenza e così sono arrivata qui in Italia, prima in Sicilia e poi in Trentino. Sono riuscita a trovare subito lavoro grazie al prezioso aiuto dei miei connazionali.

Le difficoltà non sono mancate. La lingua, innanzitutto, che ho cercato di imparare lavorando e frequentando i corsi organizzati da alcune associazioni. Nonostante l'impegno, devo ammettere che è stato proprio difficile imparare a parlare e a scrivere in una lingua diversa dalla mia, soprattutto iniziandone l'apprendimento in un'età non giovanissima. La cucina locale e i suoi odori inediti a volte si scontravano con le mie abitudini, rendendo inaspettatamente complicata la mia integrazione nella nuova comunità. Il clima trentino con la sua rigidità mi ha fatto vedere la neve per la prima volta. E poi le questioni spicciole: la compilazione di pratiche e modelli, la conoscenza del territorio, le procedure richieste per ottenere il permesso di soggiorno, tessera sanitaria, carta d'identità... Nel confrontarmi ogni giorno con queste questioni non ho sempre avuto la fortuna di avere l'aiuto di familiari o connazionali. Molte volte mi sono trovata da sola a recarmi presso gli uffici senza capire cosa dovevo fare, sentendomi stupida di fronte alle spiegazioni veloci e tecniche degli impiegati.

In questi momenti ci si rende conto di essere veramente sole e di poter contare solo su se stesse, sulle proprie forze. Si sente la mancanza dei propri punti di riferimento, ormai lontani. Sale lo sconforto e la nostalgia. Per questo, ogni tanto, mi ritrovo con i miei connazionali che come me vivono in Trentino. Ho trovato anche conforto presso le famiglie per le quali ho lavorato, che mi hanno dimostrato affetto, facendomi sentire parte della loro famiglia. Queste persone sono e resteranno per sempre nel mio cuore, anche se alcune purtroppo non ci sono più.

Dopo alcuni anni di lavoro qui in Italia, sono riuscita a mettere da parte una somma di denaro che mi poteva permettere di dare vita a un pezzettino del mio sogno: l'acquisto di un terreno da gestire con mio marito una volta rientrata nel mio paese. Mancava poco per riabbracciare la mia famiglia. Ma, come spesso accade, la vita riesce a sconvolgerti e sorprenderti quando meno te lo aspetti. La morte di mio marito ha cambiato la direzione del mio destino. È allora che mi sono ritrovata a ricominciare da capo, ancora una volta.

Con lo scopo di stabilizzarmi in Italia e portare i miei figli rimasti soli ho deciso di seguire corsi specializzanti nella professione di infermiera e di badante. Questa scelta ha aumentato le mie possibilità nella ricerca del lavoro e migliorato la mia condizione rispetto a molte altre donne che hanno, invece, dovuto affrontare mesi di disoccupazione. Senza lavoro viene meno la possibilità di affrontare le spese minime richieste per spostarsi con i mezzi pubblici, pagare l'affitto e le bollette, acquistare le ricariche telefoniche, così preziose per chiamare la famiglia lontana.

Con il passare del tempo ho migliorato la conoscenza dell'italiano e, conciliando studio e lavoro, sono anche riuscita a conseguire la patente.

Accanto alla ricerca del lavoro, l'altro grande ostacolo da superare è stata la ricerca della casa. Inizialmente, sono stata ospitata da amici e dalle famiglie presso le quali ho prestato servizio come assistente familiare. Si trattava di situazioni poco agevoli nel lungo periodo, perciò mi sono rivolta ad Atas, conosciuta tramite amiche che usufruivano dello sportello ricerca lavoro.

Atas mi ha accolta nella Casa di Accoglienza Femminile, che per me non è stata soltanto un tetto sotto il quale rifugiarmi, ma anche un luogo di ritrovo e di ascolto, di scambio e di conoscenza. Ho trovato operatori e volontari attenti ad accogliere i nostri problemi e rassicurarci nella ricerca di una soluzione. Come non ricordare le cene insieme, con volontarie e operatrici, dove la cucina era un pretesto per sedersi insieme allo stesso tavolo e sentirsi meno sole e meno diverse.

Vivere insieme non è sempre stato facile: a volte ho avuto discussioni con le altre donne presenti in Casa, spesso per i motivi più futili come i rumori, i turni di pulizie non rispettati, la raccolta differenziata.

È stato un nuovo inizio con momenti di incertezza e di disagio ma anche momenti di scambio e crescita personale: ho avuto modo di confrontarmi con donne che come me stavano affrontando un periodo di difficoltà, costruendo delle vere amicizie.

È stato bello assistere alla partenza di chi è riuscita a trovare una nuova casa, a ricongiungere la propria famiglia, a realizzare il proprio sogno, anche se queste partenze hanno lasciato un vuoto nella Casa.

Come la maggior parte delle ospiti mi chiedo cosa ne sarà del mio futuro. So per certo che ritornerò nel mio paese con la speranza di riuscire a realizzare i miei progetti, quelli che mi hanno spinta a partire e lasciare tutto.

La mia storia è una storia come tante altre ma penso e spero che raccolga un po' tutte le storie delle donne che hanno vissuto nella Casa di Accoglienza Femminile.

La speranza è la mia compagna e la forza è la mia arma.